Spese comuni

11 Mar Spese comuni

“Nel condominio vige il principio in base al quale tutti i condomini sono obbligati a corrispondere le spese per la più corretta e più proficua gestione delle strutture dell’edificio, degli impianti e dei servizi comuni.
Nessuno può sottrarsi al pagamento di queste, rinunciando alla proprietà dei beni e dei servizi comuni. Pur essendo disciplinato in modo esplicito il criterio per la loro ripartizione tra tutti i condomini, sorgono spesso controversie proprio per le fattispecie relative al pagamento delle stesse.

Qual è la disciplina che regola il condominio?
Il legislatore del 1942, nel promulgare il R.D. 262 del 16 marzo 1942, meglio conosciuto come codice civile, ha sostanzialmente ripreso il R.D. 56 del 15 gennaio 1934, omettendo peraltro la definizione di condominio e limitandosi a elencare nell’art. 1117 cod. civ. le parti e i servizi che si devono presumere comuni, a differenza di quanto si rinviene nelle principali legislazioni degli Stati aderenti all’Unione europea, a dire il vero, più recenti rispetto a quella italiana.
Il legislatore del 2012, con la legge 220 dell’11 dicembre 2012, ha confermato l’incertezza inerente alla natura giuridica del condominio, implementando esclusivamente l’elenco dei beni, presuntivamente, comuni, aggiornandoli ai più innovativi dettami della giurisprudenza e della tecnica impiantistica.
Il condominio, non essendone stata stabilita la natura giuridica dal legislatore, è stato definito, dalla giurisprudenza prevalente, un ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica e fornito soltanto di soggettività giuridica.
Del resto il condominio, già conosciuto dal diritto romano, seppure riferito a una differente struttura di domus , si è sviluppato a decorrere dal 1920 circa, con l’introduzione in Italia del cemento armato che ha facilitato la costruzione di edifici sviluppati in altezza.
Il condominio si costituisce di fatto con la vendita della prima unità immobiliare di uno stabile costituito da una pluralità di queste (Cass., Sez. II, 14 novembre 2012, n. 19939), indipendentemente dall’esistenza di un regolamento o di una delibera assembleare.
La disciplina del condominio è inserita nel libro III della proprietà; questa ultima si costituisce, si trasferisce e si estingue con un contratto che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1350 e 2643 cod. civ., deve avere la forma scritta solenne e deve essere trascritto per essere opponibile ai terzi.
Il condominio è costituito da uno stabile, originariamente eretto solo in senso verticale e, a seguito della riforma, anche in senso orizzontale, nel quale beni, impianti e servizi utilizzati, anche in via potenziale e indiretta, da tutti i condomini, sono strutturalmente e funzionalmente collegati alle singole unità di proprietà esclusiva costituenti l’edificio (Cass., Sez. II, 8 febbraio 2012, n. 1806).
Il legislatore ha disciplinato la normativa condominiale delineandone i principi cardini, soprattutto laddove doveva derogare o integrare altre disposizioni codicistiche comunque inerenti all’esistenza e all’amministrazione dell’ente condominio.
In analogia con quanto previsto per gli enti collettivi, ha contemplato un potere deliberante, l’assemblea dei condomini, e un potere esecutivo, l’amministratore, entrambi con poteri e con funzioni autonomi.
Così compete all’assemblea deliberare le spese, necessarie e opportune, per conservare e per migliorare, non solo, le strutture dell’immobile, ma altresì i relativi impianti e servizi. Soprattutto, l’assemblea ha il potere di stabilire una convenzione, per il riparto delle suddette spese tra tutti i condomini, dai contenuti differenti dei criteri indicati dallo stesso legislatore nell’art. 1123 cod. civ. (Cass., Sez. II, 4 dicembre 2013, n. 27233).

Come si ripartiscono le spese condominiali?
Dunque, la gestione del condominio comporta l’obbligo di effettuare alcune spese al fine di garantire la costante funzionalità di alcuni servizi, per esempio, la pulizia delle scale e il portierato, e la perenne conservazione delle parti e dei manufatti comuni dello stabile, come nel caso degli impianti dell’ascensore e del riscaldamento centralizzato, ovvero del tetto e delle facciate dell’edificio.
L’obbligo di corrispondere le spese, derivando dalla stessa comproprietà dei beni comuni, è una obligatio propter rem , a cui nessuno può sottrarsi (Cass., Sez. III, 8 novembre 2007, n. 23308).
Il primo comma del citato art. 1123 cod. civ., che pone a carico di tutti i condomini le spese pro quota millesimale, ripropone sia l’art. 562 del codice civile promulgato il 25 giugno 1865, n. 2358, che si rifaceva al codice albertino del 1842, sia l’art. 14 R.D. 56/1934; l ’ art. 1118 cod. civ. dispone l’invalidità di una rinuncia alla comproprietà di un bene da parte di un singolo condomino, per sottrarsi al pagamento delle spese che devono essere sostenute in proporzione al valore della singola unità immobiliare che gli appartiene.
Le spese per la manutenzione del tetto o di un lastrico solare condominiale devono essere, quindi, ripartite in base a questo criterio, essendo di utilità e d’interesse di tutti i condomini indistintamente; infatti, servono a riparare le strutture comuni, oltre a quelle private, dall’attività, a volte devastante, degli agenti atmosferici come la pioggia, la grandine e la neve. Pure, tuttavia, il legislatore ha consentito che i condomini all’unanimità possano modificare i criteri legali dei millesimi, predisposti ai sensi dell’art. 68 disp. att. cod. civ., per stabilire convenzioni particolari (Cass., Sez. II, 23 dicembre 2011, n. 28679); per esempio non è infrequente che nei condomìni composti da pochi condomini le spese vengano ripartite in parti uguali.
I commi 2 e 3 dell’articolo trattato, apparentemente sembrano stabilire il medesimo principio. Viceversa, il legislatore ha voluto individuare due differenti fattispecie.
Con il secondo comma il legislatore ha disciplinato il godimento, da parte di ciascun condomino, dei beni comuni, affinché la spesa relativa, addebitabile a questi, sia proporzionata all’uso che del bene il singolo effettua. Considerato, infatti, che alcuni condomini effettuano un più intenso uso di una parte, di un impianto o di un servizio logorano la struttura e/o determinano un più frequente intervento manutentivo e, dunque, sono chiamati a pagare una quota di spesa superiore agli altri.
Per questo motivo è opportuno che in ogni condominio unitamente alla tabella dei millesimi di proprietà, sussistano le tabelle di gestione relative, per esempio, al servizio di portierato, alla manutenzione del giardino, al consumo dell’acqua, all’uso dell’ascensore, all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento.
Il comma 3 del predetto art. 1123, introduce il concetto del cosiddetto condominio parziale basato sulla delimitazione dell’appartenenza di un determinato bene soltanto a un gruppo di condomini con esclusione degli altri (Cass., Sez. I, 28 giugno 2013, n. 16413); si pensi, per esempio, a una chiostra che fornisce aria e luce soltanto agli appartamenti che vi si affacciano, ma non a tutti quelli che costituiscono l’edificio (Cass., Sez. II, 17 febbraio 2012, n. 2363).
Fissate le regole generali, il legislatore ha voluto stabilire, per una migliore applicazione, alcuni criteri di ripartizione delle spese concernenti specifiche fattispecie.
In tal modo sono stati stabiliti i criteri per ripartire le spese inerenti alla manutenzione delle scale, art. 1124 cod. civ., delle volte e dei solai divisori tra due unità immobiliari appartenenti a diversi proprietari, art. 1125 cod. civ., dei lastrici solari e delle terrazze a livello di proprietà o di uso esclusivo, art. 1126 cod. civ.; si rammenta che il termine “uso” si riferisce, con espressione tecnica, a un diritto reale, così detto, minore, disciplinato dagli articoli da 1021 a 1026 cod. civ., e non a una modalità di utilizzo di una cosa.
Per quanto attiene a quest’ultimo articolo, è previsto che le spese per la manutenzione di un terrazzo a livello o di un lastrico solare di proprietà o di uso di un singolo, debbano essere ripartite in relazione sia alla funzione di copertura di tale bene sia al suo godimento esclusivo.
Diversamente l’art. 1125 cod. civ. prevede la manutenzione del solo solaio divisorio tra due unità soprastanti, di proprietà di differenti condomini.

Qual è il contenuto dell’art. 1126 cod. civ.?
A differenza dei lastrici solari, aree poste al culmine del palazzo con funzione di copertura dell’intero stabile, la terrazza, è pur sempre una “superficie praticabile (come il lastrico solare), pavimentata stabilmente, all’aperto, ma con pavimentazione più livellata, con minori pendenze, tanto da renderla adatta a potervi collocare tavoli e sedie, e permettere, a chi ne ha l’accesso, di sostarvi comodamente anche per parecchio tempo” (Rizzi-Rizzi, Il condominio negli edifici , Bologna, 1983).
Il criterio di ripartizione della spesa relativa ai soli elementi necessari alla struttura, che fungono da copertura e protezione dagli agenti atmosferici del sottostante fabbricato o sua porzione, ut supra dedotto, prevede un terzo a carico del proprietario del lastrico e due terzi a carico dei condomini, interessati dalla copertura (Cass., Sez. II, 8 ottobre 2013, n. 22896).
Il suddetto criterio è rapportato al maggior logorio del lastrico solare derivato dall’uso costante effettuato dal suo proprietario esclusivo, per esempio, d’estate per pranzare all’aperto, tanto che l’art. 563 codice civile previgente, integrato con quello del commercio 1062 del 31 ottobre 1882, prevedeva una ripartizione addirittura di un quarto e tre quarti.
Identico criterio si applica quando, sotto il lastrico solare di proprietà esclusiva, sia sito l’appartamento di proprietà dello stesso condomino, che accede al lastrico direttamente dal suo alloggio (Cass., Sez. II, 23 gennaio 2014, n. 1451).
Il criterio de quo si applica altresì nell’ipotesi di terrazza a livello che serva da copertura a un’unica autorimessa o a un unico appartamento sottostante.
Tra l’altro, sono da ripartirsi, sempre ex art. 1126 del cod. civ., non solo le spese inerenti alla impermeabilizzazione, ma anche quelle relative al rifacimento della pavimentazione, purché il materiale sia compatibile e conforme a quello già esistente, e quelle funzionali e conseguenti a un siffatto intervento manutentivo (Cass., Sez. II, 28 settembre 2012, n. 16583).
Dunque, si ripartiscono, ex art. 1126 cod. civ., le spese per la manutenzione di tutti gli elementi strutturali del lastrico, inscindibilmente connessi alla sua funzione di copertura, compresa quella per il trasporto di materiali di risulta alla discarica e per lo smaltimento degli stessi (Cass., Sez. II, 12 febbraio 2014, n. 3221).
La suddivisione deve essere effettuata per la parte corrispondente alle zone degli appartamenti coperti dal lastrico solare o dalla terrazza a livello, tra cui possono sussistere parti comuni, quali l’androne d’accesso, i locali portineria, la centrale termica e così via.
Per contro le spese per la manutenzione degli altri elementi, quali il parapetto e i divisori della terrazza, sono di esclusiva competenza del proprietario degli stessi.
Considerato che il lastrico solare, seppure di proprietà esclusiva, svolge la funzione di copertura del fabbricato, o di sua porzione, all’obbligo di provvedere alla sua manutenzione è tenuto il condominio in persona dell’amministratore in concorso con il suo proprietario (Cass., Sez. II, 27 giugno 2011, n. 14196), proprio perché è la sua stessa funzione che la rende comune (Cass., Sez. II, 21 settembre 2012, n. 16117).
Quanto sopra dedotto sempre che l’infiltrazione d’acqua non derivi da un fatto imputabile soltanto al proprietario del lastrico, quale l’impedire l’esecuzione dei lavori di manutenzione (Cass., Sez. II, 22 marzo 2012, n. 4596). Tale ultimo principio si applica anche nell’ipotesi i vizi del lastrico solare siano da imputare al costruttore dell’edificio (Cass., Sez. II, 12 luglio 2011, n. 15291).

Che cos’è la responsabilità aquiliana?
Gli artt. 2043-2059 cod. civ. disciplinano le responsabilità derivanti da fatti illeciti colposi che cagionano un danno ingiusto ad altri, compresi gli stessi condomini, diversi dall’inadempimento contrattuale, che pure è in contrasto con la norma giuridica che impone ai contraenti di eseguire con correttezza e buona fede le loro obbligazioni. Trattasi, dunque, di responsabilità extracontrattuale per cui il fatto dell’uomo, che può essere anche omissivo, lede ingiustamente un interesse altrui tutelato dal diritto.
Tra gli articoli sopra richiamati, l’art. 2051 cod. civ. dispone che chiunque abbia in custodia una cosa, che provochi un danno a terzi, è responsabile di quanto verificatosi, sempre che non provi che è avvenuto per caso fortuito.
La cosa in custodia può produrre un danno indipendentemente da un’attività positiva di colui che ne è proprietario o, comunque, la possegga, ma anche da un suo processo spontaneo derivato da cause diverse.
La responsabilità sorge, conseguentemente, per una violazione di un obbligo, di fare o di non fare, posto a carico del custode della cosa.
È custode di una cosa, anche inanimata, colui che esercita un potere sulla stessa, atto a soddisfare un proprio interesse, da cui discende l’obbligo di tenere un comportamento tale da evitare ogni danno a terzi.
Qualora il danno non sia provocato da un difetto di custodia, manca il nesso causale della responsabilità del custode; il caso fortuito è costituito da un intervento di un elemento estraneo alla volontà del custode e deve essere da lui provato.
La prova consiste nel dimostrare l’osservanza di un suo comportamento conforme a diligenza con l’adozione di ogni mezzo atto a evitare il possibile danno (Cass. civ., Sez. III, 9 giugno 2010, n. 13830).
Il dovere del controllo nasce anche in relazione alle cose inerti, che, in conseguenza di un proprio dinamismo, possono anch’esse cagionare un danno.
La responsabilità per i danni causati da cose in custodia, ha carattere oggettivo e sussiste allorché, da una parte, si verifichi un’alterazione delle medesime e, dall’altra, tale alterazione non possa essere percepita da colui che subisce il danno (Cass. civ., Sez. III, 13 maggio 2010, n. 11592).
La responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 cod. civ. sussiste qualora ricorrano due presupposti: un’alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche, determina la configurazione nel caso concreto della cd. insidia o trabocchetto e l’imprevedibilità e l’invisibilità di tale “alterazione” per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce un danno (Cass., Sez. III, 13 maggio 2010, n. 11592).
L’origine delle infiltrazioni, a volte, è di difficile accertamento, per esempio, allorché sulla terrazza vi siano numerose fioriere annaffiate per mezzo di un impianto d’irrigazione automatico; per lo più, però, si tratta di strappi e di lacerazioni della guaina impermeabilizzante.
L’importo del risarcimento dei danni cagionati dal lastrico deteriorato per difetto di manutenzione, deve essere sempre ripartito con il criterio di un terzo e di due terzi, con esclusione del danneggiato, detratto l’eventuale rimborso di somme da parte dell’istituto assicuratore (Cass., Sez. III, 13 marzo 2007, n. 5848).
Infatti, il condominio può avere stipulato una polizza globale fabbricati per cui la spesa necessaria, per le più convenienti riparazioni, può essere rimborsata dall’istituto assicuratore, detratti gli importi inerenti all’eventuale clausola della franchigia e al principio inerente alla proporzionale, ai sensi dell’art. 2907 cod. civ.
Ne deriva che:
– l’amministratore, alla prima avvisaglia di infiltrazioni, deve intervenire per valutare il da farsi;
– l’assemblea deve deliberare di stipulare una polizza che comprenda anche il rimborso della spesa per la ricerca dei guasti e deve costantemente aggiornare il valore del fabbricato affinché non operi la così detta proporzionale.
Qualora, però, il danno sia stato causato da colpa, da incuria o da negligenza del proprietario della terrazza a livello, compete a questi risarcire l’intero danno provocato (Cass., Sez. II, 8 novembre 2007, n. 23308).
Quanto sopra dedotto può essere variato qualora il criterio legale sia derogato nel singolo condominio da una differente convenzione approvata e accettata da tutti i partecipanti al condominio.

Possono esservi casi dubbi?
Una particolare fattispecie inerisce alla copertura di box nell’unico seminterrato sottostante un cortile comune; la giurisprudenza, distinguendo, ritiene che la spesa, relativa alla riparazione di un viale di accesso all’edificio condominiale soprastante le autorimesse dei condomini, debba essere ripartita in analogia a quanto disposto dall’art. 1125 cod. civ. vale a dire per metà a carico di tutti i condomini, che utilizzano il suddetto viale, e per metà ai proprietari delle autorimesse (Cass., Sez. II, 19 luglio 2011, n. 15841). Infatti, l’uso del viale da parte di tutti i condomini, magari anche mediante autovetture, determina la necessità della manutenzione della pavimentazione, in tal senso verificandosi un’applicazione particolare del principio generale previsto dall’art. 1123 cod. civ. (Cass., Sez. II, 5 maggio 2010, n. 10858).
La Suprema Corte di cassazione ha, altresì, evidenziato la necessità di accertare quali siano le opere che sono oggetto di intervento manutentivo, specificando che la spesa, per la riparazione della pavimentazione del cortile, deve essere addebitata pro quota millesimale a tutti i condomini, mentre le spese per gli interventi effettuati alla struttura del solaio divisorio, compresa la sua impermeabilizzazione, devono essere ripartite per metà a carico di tutti i condomini e per l’altra metà ai soli proprietari delle autorimesse sottostanti (Cass., Sez. II, 16 febbraio 2012, n. 2243). In tale guisa il criterio di ripartizione degli oneri condominiali è più consono al principio della proporzionalità della spesa in relazione all’utilità concreta dei condomini, ricavata dalle opere attuate.

Può essere redatta una tabella ad hoc?
Un’ultima questione d’affrontare riguarda come può essere materialmente ripartito questo tipo di spesa.
Nel silenzio di una pronuncia giudiziale, si possono suddividere con una tabella millesimale elaborata con una proporzione geometrica tra le diverse superfici, espresse in metri quadrati, coperte dal lastrico solare in proiezione verticale. Del resto, l’art. 68 disp. att. cod. civ., richiama l’art. 1126, sempre del codice civile, per la determinazione dei valori proporzionali degli appartamenti tra i quali vanno suddivise le spese per la manutenzione dei lastrici solari e delle terrazze a livello; questo riferimento, a mio parere, sta a indicare la necessità di una apposita tabella per questa tipologia di spese, potendo valere, in caso contrario, le sole tabelle previste dall’art. 1123 cod. civ.
Non solo, l’art. 68 disp. att. cod. civ. richiama anche l’art. 1124 cod. civ., che prevede anch’esso una caratura specifica per le spese inerenti alla manutenzione delle scale, ma non l’art. 1125 cod. civ., in tema di solai, rafforzando la tesi sopra esposta della obbligatorietà di una tabella ad hoc per le spese previste nell’art. 1126 cod. civ..
La recente sentenza della Cassazione n. 1451/2014, citata, ha precisato che si deve avere esclusivamente “riguardo al valore dell’unità immobiliare compresa nella colonna sottostante al lastrico, non già all’intero valore millesimale attribuito all’appartamento anche per la parte che non trae utilità dalla copertura”.

Fonte:
Approfondimento eleborato da:
Gian Vincenzo Tortorici, avvocato libero professionista, esperto in materia immobiliare, autore di volumi, articoli per riviste, monografie e collaboratore del Gruppo 24 ORE”.